NOTA INTRODUTTIVA di Claudio Marucchi al libro “Il voodoo gnostico di Micheal Bertiaux” , Aradia edizioni, di Nera Luce
Nell’intricato paesaggio esoterico del XX° secolo – animato da un
vivace revival di quasi tutte le dimensioni dell’occulto e sulla scorta
dell’entusiasmo per la diffusione, tra il grande pubblico, di culture
religiose, mistiche e magiche decisamente esotiche – spicca la figura
di Michael Paul Bertiaux (1935), figlio di una teosofa e di un capitano
della marina mercantile americana. Poco conosciuto in Italia, il lavoro
magico di Bertiaux costituisce un sentiero originale ed eccezionale di
commistione tra sistemi filosofici e pratici alquanto distanti, diversi e
apparentemente inconciliabili. Più che una visione sincretica, quella
di Bertiaux sembra essere una concezione pratica in grado di salare i
sistemi trascendenti con quelli immanenti.
La permanenza di Bertiaux ad Haiti, negli anni ’60, gli ha fornito la
base iniziatica affinchè egli potesse addentrarsi nell’intricata selva
di aspetti cultuali, rituali e devozionali del Voodoo, da lui ripreso
nell’accezione originaria di “Vodun”, l’insieme di pratiche magiche
africane, provenienti dal Togo e dal Ghana principalmente, poi diffusesi
a macchia d’olio lungo le rotte degli schiavi, sebbene con importanti
differenze, a seconda delle zone e dei culti autoctoni ai quali andavano
saldandosi.
Sebbene in modo apparentemente grossolano, è possibile accostare
questo modello a quello sviluppato, in modo molto più raffinato, dallo
gnosticismo greco, poi culminato nelle più note scritture del
neo-platonismo. La direttrice comune ad entrambi è l’aver posto un
vertice trascendente, il Creatore, all’apice del sistema, e
successivamente una serie complessa ed elaborata di emanazioni, dalla
più sottile alla più densa, che rappresentano sia i gradini o
stratificazioni della potenza divina fino alla creazione di ordine
materiale, sia i differenti elementi di un’articolata configurazione
cosmologica. La tradizione più esoterica della mistica ebraica, ovvero
la Qabalah, così come i sistemi cosmologici hindu, mazdei, avestici e
più tardi greci, sembrano calcare in maniera decisa il medesimo sentiero
emanazionistico. Naturalmente tali accostamenti funzionano solo
mantenendo una visione periferica, globale ed approssimativa, come
dall’alto, perchè scendendo nel dettaglio si evidenziano piuttosto le
differenze, marcate ed inevitabili, che contraddistinguono i diversi
sistemi.
Il più evidente scoglio da superare riguarda l’approccio etico che fa
da sfondo alla tradizione gnostica rispetto al modello ideato da
Bertiaux. L’impianto gnostico poggia su un’attitudine manichea, forte ed
ineludibile, in cui la differenza tra manipolazione di energie
telluriche o invocazione di potenze divine è la discriminante per
riconoscere la differenza tra il Male ed il Bene, intesi in senso
eminente, come veri e propri principi ontologici. Il bacino
indo-europeo, sulla scorta e sotto l’influenza dei monoteismi, considera
la materia come un riflesso degradato dello spirito, la creazione come
una prigione o un esilio per lo spirito, ed il Creatore come il fine
verso cui tendere, attraverso un insieme di pratiche ascetiche, di
privazioni, astinenze ed inibizioni a forti tinte mistiche. Le culture
extra europee, così come quelle più arcaiche, sono invece accomunate da
un approccio che potremmo definire uno “sciamanesimo naturale”. In
questo caso la natura è intrisa di potere divino e spirituale e
l’accesso alle potenze celate nella creazione può agevolmente
prescindere da ogni tentazione ascensionale o da dominanti
verticalizzanti, favorendo una visione magica dell’intero creato e della
vita che scorre in esso. La realtà è intessuta di relazioni, rapporti e
rimandi all’invisibile, il lato nascosto della materia stessa, le
essenze ed i nuclei celati ai sensi ordinari, di cui i fenomeni non sono
che l’effetto o la manifestazione esterna e temporanea. Le potenze
possono essere così evocate, manipolate ed indirizzate lungo i canali
sottili in cui scorre la forza di volontà, nel tentativo continuo di
armonizzare l’individuo al cosmo e alla natura, anzichè coltivare il
distacco e la fuga dal mondo e dalla materia.
Seguendo l’etica di Thelema, e la rivalutazione del termine “magia”,
così come venne concepito dal genio inglese Aleister Crowley, che
Bertiaux ebbe modo di studiare anche in termini iniziatici, il sistema
pratico e dottrinale di Bertiaux – che sarebbe riduttivo etichettare
come sincretismo – diventa un’equilibrata che si mantiene su un
paradosso: il trascendente è nell’immanente, la natura è lo strumento
per il suo stesso superamento. Non vi è una dicotomia giudicante che
distingua tra puro ed impuro, giusto e sbagliato, sano o insano in
natura, le potenze in essa celate sono le sfumature ed i tasti di uno
strumento che l’uomo può imparare a suonare. Questo impianto dottrinale
riesce ad essere gnostico, nel senso del rapporto con il trascendente
posto oltre il piano materiale di esistenza, e contemporaneamente
sciamanico, immanente, rivelando una profonda sinergia con gli elementi
di cui la natura stessa è composta. Questo, a mio modo di vedere, è il
più grande lascito dell’opera magica e visionaria dell’autore di questo
sistema.
Il libro che il lettore ha tra le man i è una gemma preziosa, poichè rappresenta un unicum,
a livello editoriale, nel panorama letterario italiano. Conoscendo
personalmente l’autrice da molti anni, posso assicurare che la sua non è
una semplice erudizione o preparazione culturale o intellettuale
sull’argomento. Nera Luce coltiva da sempre una visione magica, in ogni
istante del suo vissuto, e ha fatto della sua esistenza il laboratorio
alchemico della propria crescita e continua trasformazione. Un’anima
così profonda, così avvezza alle vette e ai baratri, così a contatto con
l’ombra e la tenebra-matrice di ogni cosa, è capace di escursioni nella
più fulgida creatività, nella lucidità onirico-visionaria, nell’energia
eroticizzante del serpente, nel magnetismo daimonico e nell’ispirazione
più vivida, in un modo che supera di gran lunga ciò che una mente
attiva e fertile potrebbe produrre.
Se è vero, come scrive Martin Heidegger, che “il linguaggio è la casa
dell’Essere”, allora Nera Luce istituisce un nuovo modo di far venire
in essere concetti ed immagini. Il suo linguaggio, il suo stile, come il
lettore avrà modo di apprezzare, sono la cifra della peculiarità,
dell’unicità del suo stesso essere. La trama di parole ed immagini, e di
parole che si fanno immagini, costituisce una tela che qui viene
trattata come farebbe un pittore, su cui lavora uno strumento simile al
bisturi o ad una lama. Analisi e sintesi continuamente intrecciate, ora
rovente ora algida, tessono un ordito stratificato e complesso, che
allena la coscienza. Non siamo in presenza di un insieme di descrizioni,
ma di un vero e proprio metodo, che trascina il lettore in dimensioni
inesplorate. Una sorta di iniziazione alla contemporaneità della
molteplicità di livelli di coscienza a cui ogni singola frase può
parlare in modo diverso.
Lei per questo ha un dono, o meglio, è un dono. Senza trattenerlo per
sé, si dispone ora a condividerlo con noi. Nera Luce ha sempre posto
interamente e senza remore se stessa al servizio dell’opera di bacchetta
e di coppa; nel nostro sodalizio magico ho assistito alla sua crescita
ed espansione, come lei veglia sulla mia emancipazione. Quest’opera, la
cui genesi tra origine da prima di ogni decisione o proposta, precipita
ora sul piano materiale, non come un risultato ultimo, ma come un nuovo
punto di partenza.
Claudio Marucchi

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